La Regia Strada Ferrata Napoli-Capua
Il 25 maggio 1844 fu inaugurata la tratta della Regia Strada Ferrata da Caserta a Capua.
Il convoglio, composto da due carrozze reali su cui viaggiava il re, Ferdinando II, la regina Maria
Teresa d’Asburgo e la famiglia reale, e da 12 vagoni su cui erano sistemate le immancabili autorità,
transitò per la stazione di S. Maria, inaugurandola, alle 17.00 tra lo sventolio di bandiere e
l’acclamazione della folla.
Dal Giornale delle Due Sicilie del 28 maggio apprendiamo che il tratto Napoli-S. Maria fu
percorso in circa un’ora.
Il cantiere di lavoro al vicolo Caruso
La linea ferroviaria Napoli-S. Maria-Capua fu progettata dall’ing. Giuseppe Fonseca,
capitano dell’esercito, su ordine diretto di Ferdinando II: il Re considerava importante avere un
collegamento con la sua Reggia a Caserta, ma soprattutto con la piazzaforte di Capua e con S. Maria
per avere all’occorrenza la disponibilità delle truppe ivi stanziate, come accadde qualche anno dopo
nel corso dei moti rivoluzionari scoppiati a Napoli.
I lavori, iniziati nel 1840, furono seguiti personalmente dal re. Costruita ad un solo
binario, la linea ferroviaria raggiunse il piazzale antistante la Reggia di Caserta nel 1843 dopo aver
sostato per i rifornimenti (acqua e carbone) nelle stazioni di Casal Nuovo, Acerra, Cancello e
Maddaloni.
I lavori proseguirono per arrivare a S. Maria: la direzione era affidata al tenente
Francesco Minchini del Real Corpo del Genio che disponeva di 15 soldati comandati da un sergente.
Il presidio arrivò a S. Maria il 14 dicembre 1843 e si sistemò nei locali del mulino a vapore
di Carmine Caruso che sorgeva sulla strada del Real Cammino che da Curti arrivava al Real Sito di
Carditello.
Il Real Cammino era denominato la Via dei Gelsi e la traversa che portava al mulino a
vapore aveva il nome di vicolo dei Gelsi o vicolo Caruso. Questo fino al 1887 quando via dei Gelsi
diventò via Avezzana; e nel 1935 anche il vicolo Caruso cambiò nome intitolandosi al generale
garibaldino Avezzana. Sarà spodestato nel 1979 da Togliatti, che nominerà il vicolo e la strada da via
Roma a via Mazzocchi, lasciando ad Avezzana il tratto successivo fino a viale Kennedy.
La dedica ai gelsi, piantagioni che si trovavano lungo il cammino reale, rivive oggi nel
Sentiero dei Gelsi, un tratto sistemato e riforestato nel 2021 che dalla stazione di Capua raggiunge
Carditello.
Al lavoro dei soldati del Genio si affiancò quello dell’Amministrazione Comunale che
provvide alla costruzione di un tratto di strada rotabile dal Regio Cammino detto dei Gelsi fino al
punto dove si intersecano le due strade denominate della Chiesa al ridosso del vescovado. Il tratto
di strada deve formare continuazione con l’altro già costruito dalla stazione della Regia Strada
ferrata fino all’incontro del Cammino Reale dei Gelsi, già fatto in economia nel 1844.
Carmine Caruso, noto per le sue idee liberali per le quali finì in prigione, mise a
disposizione del distaccamento del Genio tutti gli utensili a sua disposizione: forcone di ferro, cato
ferrato, brocca per acqua, bacile, fanale a mano e a muro, sedie e scanni, nonché l’olio in tutte le
sere pel lume dal detto dì 14 dicembre a tutto il 29 febbraio. Nel grande magazzino del mulino furono
sistemati tutti gli attrezzi per il lavoro dei Reggimenti 3° e 4° di Linea qui accantonati per velocizzare
il cantiere di lavoro; in due locali terranei si sistemarono i mastri d’ascia con banchi e cavalletti e i
ferramenti degli addetti alle rotaie.
Dal Real Cammino arrivavano le carrette che trasportavano i materiali e che
giornalmente vi giungevano scortate dai militari oltre a ponti e pontoni per la realizzazione del
viadotto dei “14 Ponti” che doveva scavalcare via Fardella e proseguire verso Capua parallelamente
all’imbocco di via XXIV Maggio, futuro punto di innesto nel 1913 dell’Alifana.
Finalmente i lavori furono completati e fu aperta la tratta fino a Santa Maria di Capua,
per il momento ad un solo binario. La costruzione e l'esercizio furono affidati ai militari inquadrati
nella Compagnia Cantonieri della Regia Strada Ferrata cui fu affidata il controllo e la manutenzione
della Napoli-Capua, compresa la gestione delle stazioni, dei passaggi a livello e degli scambi.
Furono stabilite quattro corse giornaliere di andata e ritorno, fatta salva la precedenza
da dare ai convogli reali e a quelli militari.
Nel corso dei lavori per la costruzione della linea ferroviaria furono numerose le tombe
osche ritrovate, in parte distrutte, i cui corredi furono saccheggiati e venduti all’estero.
Tra il novembre del 1844 e il febbraio del 1845 vennero eseguiti anche i lavori per la
costruzione dell’acquedotto per rifornire d’acqua la Stazione Ferroviaria e anche in questa
occasione i danni al patrimonio archeologico furono notevoli: si procedette con il “tagliamento di
fabbrica di tufo durissimo di alcuni ruderi di fabbricati antichi romani, incontrati lungo la costruzione
del detto acquedotto, e tagliato a piccole schegge…”; il materiale così ricavato fu impiegato per
riempimento sull’estradosso della volta dell’acquedotto.
Nel 1849 vennero migliorate le strade di accesso alla stazione, sistemando il selciato della
strada che dalla casa di Benucci alla via del Monte (oggi via Tari) conduce allo stradone della strada
ferrata.
La devastazione della strada ferrata
Il 15 maggio 1848 Andrea de Domenico, milite della Guardia Nazionale di S. Maria, partì
col primo treno diretto a Napoli per assistere all’apertura dei lavori della Camera dei Deputati nata
con la Costituzione concessa da Ferdinando II nel gennaio di quell’anno.
Giunto alla stazione ferroviaria trovò le barricate e seppe della decisione del Re di voler
sciogliere il Parlamento e fare arrestare i deputati liberali. I rivoltosi lo esortarono a rientrare a Santa
Maria, sollevare il popolo e tornare a Napoli con uomini armati.
Intanto nella nostra Città, fin dalle prime ore del mattino, era arrivata la notizia della
rivolta scoppiata a Napoli e alcuni militi della Guardia Nazionale attendevano alla stazione di
conoscere cosa stesse accadendo: da poco era transitato un treno proveniente da Capua e diretto
a Napoli, carico dei soldati del 2° Reggimento di linea, inneggianti al Re.
Andrea De Domenico, arrivato a S. Maria, li aggiornò sugli ultimi avvenimenti invitando
a correre in soccorso dei rivoltosi.
Racconta Raffaele de Cesare (La fine di un regno, 1895) racconta che quando il generale
Cardamone, comandante del presidio di Capua, seppe della rivolta, diede l’ordine di partenza alla
truppa, avvisando il capostazione di Capua Marriello di preparare un convoglio. Il Marriello, che era
un fervente liberale, avvisò il Comitato di S. Maria, suggerendo di svellere i binari.
La cosa era semplice a farsi in quanto i binari non erano fissati a traversine di quercia,
ma tenuti fermi con cunei di legno facilmente rimovibili.
Il capostazione Marrielo salì egli stesso sul convoglio temendo un disastro se il
macchinista non si fosse accorto dei binari rimossi.
Intanto a S. Maria erano stati disarmati i cantonieri che presidiavano la ferrovia, e con
l’aiuto di alcuni operai erano stati divelti alcuni binari, costringendo il treno proveniente da Capua
ad arrestarsi.
Nel pomeriggio arrivò il treno da Napoli, anch’esso costretto a fermarsi a S. Maria:
macchinista e fuochista furono arrestati e il treno venne preso in consegna dai rivoltosi con l’intento
di farlo ritornare a Napoli carico di militi della Guardia Nazionale per dar man forte.
borbonica aveva ripreso il controllo della Città, spalleggiata peraltro dal popolo, dedito per
l’occasione al saccheggio dei palazzi dei liberali.
Quanto successo quel 15 maggio 1848 pose in allarme il Prefetto di Caserta che diede
disposizioni al Sindaco di S. Maria, Girolamo della Valle, di porre la Guardia Nazionale a protezione
della linea ferroviaria, obiettivo di attentati:
“Essendosi verificati degli spiacevoli inconvenienti su questa Regia Strada
Ferrata, prodotti da una mano di devastatori ed inumani, che avevano il criminoso
pensiero di svellere le rotaie di ferro. La catastrofe di un convoglio che precipita non è a
dimostrarsi, correndo subito il pensiero alle conseguenze.
Quindi per eliminare ogni luttuoso avvenimento, e poiché le opere pubbliche
debbono guardarsi per la loro conservazione soprattutto come la Strada di Ferro, vengo
a pregarla di disporre che codesta Guardia Nazionale sia responsabile di qualunque cosa
potrebbe avvenire sul tratto di strada, che passa pel tenimento di codesto Comune, che
lo è appunto dal numero della garitta segnata n. 115 all’altra segnata n. 126 su la
ripetuta strada…”
Nel marzo del 1850 iniziò il processo contro sammaritani rei della devastazione della
strada ferrata: la Gran Corte Speciale condannò il benestante Andrea de Domenico, il sarto Gaetano
Mellucci e l’avv. Luigi Sticco a trenta anni carcere; Giulio Natale, Giovanni Caruso, il benestante
Francesco Morelli, l’industriale Michele de Gennaro, Paolo de Camillis e l’industriale Antonio Ferraro
a 25 anni; Filippo Mango, accordatore di organi e pianoforti di S. Maria a 20 anni.
alle 6 del mattino e l’ultimo alle 15.30. Tre anni dopo le corse venivano diversificate a seconda dei
mesi: sei le corse da novembre a febbraio (il primo partiva alle 7 da Napoli e alla stessa ora da S.
Maria per Napoli) e otto quelle nei mesi estivi (il primo alle 5 da Napoli e alla stessa ora di S. Maria).
Quattro le classi: la prima e la seconda erano considerate di lusso; poi c’era la terza, a
tariffa ridotta, e la 3^ popolare, a tariffa ulteriormente ridotta, per le persone di giacca, domestici e
soldati di bassa forza.
Con real decreto del 11 maggio 1855 veniva data in concessione la realizzazione di una
ferrovia che partendo da S. Maria giunga da un lato a Ceprano sul confine Romano, e dall’altro a
Pescara. Comunque l’art.9 della convenzione stabiliva “che la ferrovia abruzzese non avrà stazione
in S. Maria di Capua. L’ultima sua stazione del cammino da Napoli a S. Maria sarà Marcianise e la
prima stazione del cammino da S. Maria in poi sarà Limatola”